Giovedì, 27 Luglio 2017 23:37

Globalizzazione, sicurezza sul lavoro e maestranze italiane

Globalizzazione e sicurezza. Costi e benefici. Globalizzazione e sicurezza. Costi e benefici. IRCoT

Il 27 gennaio 2015 è l'ennesima data che vede l'Italia esclusa da accordi internazionali volti ad aiutare le aziende che costituiscono il tessuto sociale ed economico nazionale.

Quelle piccole imprese che potrebbero sostenere non solo migliaia di famiglie, dignitosamente e senza gravare sul welfare, già perarltro chiamato a immensi sforzi.

In quella data viene cotituito un incontro nella commissione esecutiva dell'ECRA (European Committee for Rope Access) dalla imponente associazione IRATA (Rope Access) anglosassone del Regno Unito che è leader nel settore con i suoi 75000 opertori specializzati addestrati.

Sono state coinvolte 5 Nazioni europee: Regno Unito, Francia, Germania, Spagna e Norvegia.

In quella sede d'incontro, svoltasi a Berlino, l'Italia ha perso un'altra occasione di entrare in un mercato di operatori altamente specializzati che vede impegnati solo in europa ben 15000 unità.

Un microsettore, se confrontato ai milioni di ex lavoratori che navigano oramai a spanne con un lanternino quasi esaurito, senza avere una certezza per il futuro. Allargando lo sguardo verso l'intero mercato, si può solo immaginare quante altre occasioni questo Paese sta perdendo!

 

Perchè non è stata coinvolta l'Italia?

La domanda sarebbe più corretta se posta in questi termini: "E come potrebbe mai essere coinvolta senza un interlocutore unito, che faccia gli interessi della sua categoria?"

Eppure una categoria così piccola, dovrebbe avere facile accesso ad incontri, accordi, e avere referenti di spicco, senza burocratici passaggi che albergano in categorie ben pià ampie. Oltre a non avere interlocutori all'altezza del ruolo richiesto.

 

Ma come sempre la realtà non è così semplice. Veniamo al dunque!

  • 25 miliardi di euro, è il costo annuo degli infortuni in italia.

  • 51.000 sono i nuovi malati ogni anno da malattie professionali.

  • 1.000 sono i morti sul lavoro annui.

  • 600.000 sono gli infortunati che abbiamo ogni anno se escludiamo i percorsi in itinere.

 

Sempre nel 2015 IRCoT (Interforce Resielence Coordination Training), presso la fiera di Bologna "Ambiente&Lavoro", espone i risultati di una ricerca che vedeva comparato il mondo lavorativo del Regno Unito e quello italiano per i lavori in quota. I risultati mostrano una differenza così netta tra i due 'concittadini europei' che sembrano assurdi.

Nel solo 2011 in Italia ci sono stati 220 morti per cadute dall'alto o sprofondamenti verso il basso (fonti INAIL).

Nello stesso anno, nello stesso settore, per le stesse tipologie di lavoro dove in Italia sono avvenuti centinaia di infortuni mortali, le aziende estere che hanno aderito al protocollo inglese (non solo inglesi, ma anche di altre nazionalità) hanno avuto un solo incidente mortale e l'anno precedente non hanno avuto nessun caso di decesso (fonti HSE ed IRATA).

Con queste cifre è facile comprendere il motivo per cui l'Italia non è mai coinvolta negli accordi cui la sicurezza sul lavoro è un fattore essenziale per pensare solo di avviare una procedura di appalto.

 

L'aspetto sconvolgente (ma nemmeno così tanto se guardiamo alla nostra impoverita istruzione) è aver compreso che tali differenze risiedono tutte nella formazione italiana che è inefficiente ed inefficiace. I corsi che attualmente vengono svolti non danno risultati, sono basati sulla carta, sulla burocrazia, sul capire di chi possa essere la responsabilità in caso di infortunio, colpa anche di un legislatore incapace di legiferare. I programmi non prevedeno una certificazione con valutazione dell'apprendimento certo, l'addestramento è sommario, i controlli sono inesisenti, gli aggiornamenti hanno una frequenza troppo bassa e il più delle volte "fittizia".

 

Il rapporto ha evindenziato che nel mondo anglosassone, l'adozione di protocolli ritenuti sufficienti a garantire una soglia di sicurezza più che eccellente, debbonon prevedere il 5% del monte ore annuo in formazione continua. Una formazione che deve essere svolta con criteri e metodi che nel Bel Paese non esistono.

 

L'INAIL nel 2016 presenta il rapporto di una ricerca svolta sull'efficienza dei corsi di formazione del Primo Soccorso aziendale, evidenziando che "la formazione non è efficiacie a distanza di tempo: appare necessario migliorare la parte addestrativa" e che "gli istruttori dovrebbero essere formati secondo didattiche proposte dalle linee guida internazionali" (Giornale italiano di medicina del lavoro, Luglio-Settembre 2016).

Nel 2013 l'associazione ISSA (International Social Security Association, cotituita nel 1927 a Ginevra, Svizzera) ha presentato il suo rapporto dove viene significativamente evidenziato che il "Return on Prevention (ROP) is assessed to be 2.2" ovvero per ogni euro investito nella sicurezza sul lavoro c'è un ritorno di 2,2 euro.

Nel 2017 l'Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza sul Lavoro riporta i dati dell'applicazione di una buona SSL nel settore della macelleria tedesca dove il ritorno è stato di 4,4 euro ogni euro investito!!!

 

Nel 2017 IRCoT ha avviato un progetto di ricerca nel campo della Safety Working Interaction, per approfondire i risultati degli incoraggianti rapporti della buona SSL, avviando un programma di certificazione e controllo per docenti e centri di formazione con linee guida internazionali, esattamente come INAIL suggerisce ed come i fondatori di IRCoT avevano già compreso anni prima.

 

Presto saranno usufruibili corsi di specializzazione alla docenza per la SSL e il registro delle competenze internazionale anche per l'Italia. I vantaggi saranno inimagginabili.

 

IRCoT sarà l'interlocutore che manca per detereminati settori di alto rischio dell'impresa italiana che avranno la meritata cassa di risonanza, in favore di quei lavoratori che si rimboccheranno le mani e con mesta umiltà avvieranno un processo di riqualificazione verso una più alta professionalità richiesta dagli ormai concorrenti paese della New Glogalization.

Il 27 gennaio 2015 è l'ennesima data che vede l'Italia esclusa da accordi internazionali volti ad aiutare le aziende che costituiscono il tessuto sociale ed economico nazionale.

Quelle piccole imprese che potrebbero sostenere non solo migliaia di famiglie, dignitosamente e senza gravare sul welfare, già perarltro chiamato a immensi sforzi.

In quella data viene cotituito un incontro nella commissione esecutiva dell'ECRA (European Committee for Rope Access) dalla imponente associazione IRATA (Rope Access) anglosassone del Regno Unito che è leader nel settore con i suoi 75000 opertori specializzati addestrati.

Sono state coinvolte 5 Nazioni europee: Regno Unito, Francia, Germania, Spagna e Norvegia.

In quella sede d'incontro, svoltasi a Berlino, l'Italia ha perso un'altra occasione di entrare in un mercato di operatori altamente specializzati che vede impegnati solo in europa ben 15000 unità.

Un microsettore, se confrontato ai milioni di ex lavoratori che navigano oramai a spanne con un lanternino quasi esaurito, senza avere una certezza per il futuro. Allargando lo sguardo verso l'intero mercato, si può solo immaginare quante altre occasioni questo Paese sta perdendo!

 

Perchè non è stata coinvolta l'Italia?

La domanda sarebbe più corretta se posta in questi termini: "E come potrebbe mai essere coinvolta senza un interlocutore unito, che faccia gli interessi della sua categoria?"

Eppure una categoria così piccola, dovrebbe avere facile accesso ad incontri, accordi, e avere referenti di spicco, senza burocratici passaggi che albergano in categorie ben pià ampie. Oltre a non avere interlocutori all'altezza del ruolo richiesto.

 

Ma come sempre la realtà non è così semplice. Veniamo al dunque!

  • 25 miliardi di euro, è il costo annuo degli infortuni in italia.

  • 51.000 sono i nuovi malati ogni anno da malattie professionali.

  • 1.000 sono i morti sul lavoro annui.

  • 600.000 sono gli infortunati che abbiamo ogni anno se escludiamo i percorsi in itinere.

 

Sempre nel 2015 IRCoT (Interforce Resielence Coordination Training), presso la fiera di Bologna "Ambiente&Lavoro", espone i risultati di una ricerca che vedeva comparato il mondo lavorativo del Regno Unito e quello italiano per i lavori in quota. I risultati mostrano una differenza così netta tra i due 'concittadini europei' che sembrano assurdi.

Nel solo 2011 in Italia ci sono stati 220 morti per cadute dall'alto o sprofondamenti verso il basso (fonti INAIL).

Nello stesso anno, nello stesso settore, per le stesse tipologie di lavoro dove in Italia sono avvenuti centinaia di infortuni mortali, le aziende estere che hanno aderito al protocollo inglese (non solo inglesi, ma anche di altre nazionalità) hanno avuto un solo incidente mortale e l'anno precedente non hanno avuto nessun caso di decesso (fonti HSE ed IRATA).

Con queste cifre è facile comprendere il motivo per cui l'Italia non è mai coinvolta negli accordi cui la sicurezza sul lavoro è un fattore essenziale per pensare solo di avviare una procedura di appalto.

 

L'aspetto sconvolgente (ma nemmeno così tanto se guardiamo alla nostra impoverita istruzione) è aver compreso che tali differenze risiedono tutte nella formazione italiana che è inefficiente ed inefficiace. I corsi che attualmente vengono svolti non danno risultati, sono basati sulla carta, sulla burocrazia, sul capire di chi possa essere la responsabilità in caso di infortunio, colpa anche di un legislatore incapace di legiferare. I programmi non prevedeno una certificazione con valutazione dell'apprendimento certo, l'addestramento è sommario, i controlli sono inesisenti, gli aggiornamenti hanno una frequenza troppo bassa e il più delle volte "fittizia".

 

Il rapporto ha evindenziato che nel mondo anglosassone, l'adozione di protocolli ritenuti sufficienti a garantire una soglia di sicurezza più che eccellente, debbonon prevedere il 5% del monte ore annuo in formazione continua. Una formazione che deve essere svolta con criteri e metodi che nel Bel Paese non esistono.

 

L'INAIL nel 2016 presenta il rapporto di una ricerca svolta sull'efficienza dei corsi di formazione del Primo Soccorso aziendale, evidenziando che "la formazione non è efficiacie a distanza di tempo: appare necessario migliorare la parte addestrativa" e che "gli istruttori dovrebbero essere formati secondo didattiche proposte dalle linee guida internazionali" (Giornale italiano di medicina del lavoro, Luglio-Settembre 2016).

Nel 2013 l'associazione ISSA (International Social Security Association, cotituita nel 1927 a Ginevra, Svizzera) ha presentato il suo rapporto dove viene significativamente evidenziato che il "Return on Prevention (ROP) is assessed to be 2.2" ovvero per ogni euro investito nella sicurezza sul lavoro c'è un ritorno di 2,2 euro.

Nel 2017 l'Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza sul Lavoro riporta i dati dell'applicazione di una buona SSL nel settore della macelleria tedesca dove il ritorno è stato di 4,4 euro ogni euro investito!!!

 

Nel 2017 IRCoT ha avviato un progetto di ricerca nel campo della Safety Working Interaction, per approfondire i risultati degli incoraggianti rapporti della buona SSL, avviando un programma di certificazione e controllo per docenti e centri di formazione con linee guida internazionali, esattamente come INAIL suggerisce ed come i fondatori di IRCoT avevano già compreso anni prima.

 

Presto saranno usufruibili corsi di specializzazione alla docenza per la SSL e il registro delle competenze internazionale anche per l'Italia. I vantaggi saranno inimagginabili.

IRCoT sarà l'interlocutore che manca per detereminati settori di alto rischio così che la piccola e media impresa italiana avranno la meritata cassa di risonanza, in favore di quei lavoratori che si rimboccheranno le mani e con mesta umiltà avvieranno un processo di riqualificazione verso una più alta professionalità richiesta dagli ormai concorrenti paese della New Glogalization.

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